Sindrome dell’intestino irritabile (IBS): l’alimentazione in aiuto

“Sensazione di pesantezza e ripienezza a livello ombelicale, stitichezza, diarrea o alternanza tra periodi di stitichezza a periodi di diarrea, dolore che migliora dopo l’evacuazione”

Se ti riconosci in questi sintomi, potresti soffrire della sindrome dell’intestino irritabile (IBS).

Ancora oggi chi soffre di IBS viene trattata come una alata psichiatrica, per fortuna capita meno che in passato.

Effettivamente a volte capita di impazzire, soprattutto al pensiero di dover mangiare e non sapere come reagirà il tuo corpo.

Molte pazienti mi riferiscono di essere confuse e impaurite dal cibo, tutto sembra fargli male e non sanno più cosa mangiare.

Alcune riescono ad individuare degli alimenti trigger e i più comuni sono i latticini, i legumi,  il caffè, alcune verdure.

Altre hanno osservato che uno stesso alimento a volte gli fà male ed altre volte lo tollerano meglio.

Tutto ciò ti manda in confusione e non sai più come gestire gli alimenti, cosa ti fa bene e cosa ti fa male. Non sai più come migliorare la tua stitichezza e spesso abusi di lassativi o tisane lassative per aiutarti nelle evacuazioni, al contrario se hai frequenti diarree hai paura di mangiare o di uscire perché sai che all’improvviso potresti dover correre al bagno.

La soluzione c’è ma troppo spesso si sottovalutano tutte le cause che generano il problema e la soluzione proposta è molto superficiale o marginale.

Da dove partire?

Purtroppo non esistono analisi da poter fare per averne la certezza che si tratti di IBS, cosi si procede per esclusione. La prima cosa da fare è verificare che non si tratti di una malattia infiammatoria a carattere cronico-degenerativo (Morbo di Chron e Rettocolite Ulcerosa) ne di Celiachia o gluten-sensitivity ossia un’intolleranza al glutine. Attraverso un’accurata anamnesi e delle analisi specifiche è possibile escludere queste patologie.

Escluse le patologie sopra indicate le direzioni da prendere sono 2 sulla base dei sintomi osservati. Potremmo trovarci davanti una SIBO o Disbiosi  oppure ad un Colon Irritabile (IBS).

L’IBS è un disordine multifattoriale e non sono ancora ben noti tutti i meccanismi di azione.

E’ possibile tracciare un profilo tipico di chi soffre di IBS, continua a leggere e scopri se è questa la risposta al tuo problema.

Identikit del paziente che soffre di IBS

  • Colpisce per lo più il mondo femminile
  • Età di comparsa 30-50 anni
  • Presenta sofferenza fisica e psicologica
  • È una persona molto ansiosa
  • Presenta da almeno 3 mesi dolore addominale durante l’evacuazione oppure associato ad un cambiamento nella frequenza delle evacuazioni o ad un cambiamento nella forma delle feci (secche o acquose)
  • Il dolore migliora dopo l’evacuazione
  • Presenta feci dure o a grumi/diarrea almeno 1 o 2 volte a settimana
  • Sensazione di evacuazione incompleta almeno 1 o 2 volte a settimana
  • Necessità di aiutarsi con manovre manuali almeno 1 o 2 volte a settimana
  • Ha meno di 3 evacuazioni spontanee a settimana
  • I sintomi peggiorano in presenza di stress fisico o psicologico

Se ti sei riconosciuta in almeno 4-5 punti, allora sei nel posto giusto!

Quali sono le cause del IBS?

I meccanismi che innescano l’IBS non sono ancora del tutto noti, ma si è visto che alcuni fattori influiscono sulla comparsa e sul mantenimento. Mi riferisco:

  • A fattori psico- sociali
  • Uso cronico di farmaci
  • Precedenti infezioni gastrointestinali
  • Infiammazione
  • Allergie o intolleranze

Ognuno ha una o più cause a cui può ricondurre lo sviluppo di questo disturbo, proprio per questo motivo è fondamentale vagliarle singolarmente.

Lo stress

Lo stress è la risposta del corpo a qualsiasi stimolo nocivo. Può essere fisico (infezioni e interventi chirurgici) e/o psicologico (perdita del lavoro, divorzio, lutto, assistenza continua ad un familiare, abusi fisici o sessuali etc). Esso è in grado di modificare il microbiota intestinale rendendo l’intestino uno spazio poco adatto ad alcune specie batteriche benefiche e creando le condizioni per lo sviluppo di specie batteriche patogene. Ciò può aumentare il dolore e i meccanismi di segnalazione del dolore del tratto gastrointestinale contribuendo all’ipersensibilità viscerale.

Uso cronico di farmaci

In particolar modo di antibiotici che hanno impatto negativo sulla composizione del microbiota intestinale portando ad un aumento dei batteri che producono gas ed una riduzione di quelli che lo consumano

Precedenti infezioni gastrointestinali

Alcune persone sviluppano IBS a seguito di gastroenteriti causate da batteri, virus o parassiti

Infiammazione

Persone affette da IBS presentano una maggior permeabilità intestinale e la presenza di molecole ad azione infiammatoria. Ciò potrebbe favorire la diarrea e la gravità del dolore. Un intestino infiammato inoltre, produrrà neurotrasmettitori in grado di modulare l’umore in modo negativo.

Allergie o intolleranze

L’ingestione di alcuni cibi è una delle cause principali del peggioramento dei sintomi. Ciò spesso causa ansia che anticipa il momento del pasto (proiezione anticipata degli effetti nefasti che quell’alimento potrebbe avere sul tuo intestino). Allo stato attuale più che parlare di allergia si può parlare di “intolleranza” verso determinati gruppi di alimenti. Questi alimenti oggi sono stati tutti raggruppati nell’acronimo FODMAP. Un termine che racchiude una ampia categoria di alimenti contenenti carboidrati a catena corta scarsamente assorbiti a livello del colon.

Sono costituiti da piccole molecole osmoticamente attive che richiamano acqua causando un accumulo eccessivo di liquidi e gas, con conseguente gonfiore, dolore addominale e distensione. Questi zuccheri sono scarsamente assorbiti principalmente a causa dell’assenza di enzimi in grado di digerirli.

Molti studi dimostrano che la dieta Low  FODMAP contribuisce a ridurre il 75% della sintomatologia.

I 3 step del mio metodo per risolvere i sintomi

  • Individuare le cause che hanno determinato lo sviluppo o comparsa di una sintomatologia è sempre il primo obiettivo. Le cause sono soggettive ed è per questo che è importante affiancarsi a un professionista esperto che sappia individuarle.
  • Ma tutto ciò non è sufficiente! E’ necessario lavorare anche su di esse per far si che non siano un fattore di mantenimento o di ricaduta. Tutto questo lo si può fare attraverso l’utilizzo di strumenti o tecniche che possano aiutare a gestire lo stress e l’ansia. Attraverso strategie nutrizionali ed integrative specifiche che riducano i livelli di infiammazione e riportano il microbiota in una condizione di equilibrio.
  • Infine bisognerà attuare una scelta oculata degli alimenti da poter utilizzare, escludendo tutti quelli ad alto contenuto in FODMAP.

Di seguito ti mostrerò i principali FODMAP e gli alimenti che li contengono

FOS: Sono dei fruttani a cui appartiene l’inulina estratto dalla radice di cicoria ma usato anche come additivo per la preparazione di yogurt per le sue probiotiche. L’inulina è contenuta anche nei
carciofi e nel topinambur specialmente se cotti con acqua che la solubilizza.

GALATTANI: Sono presenti in tutti i legumi, broccoli, i cavoletti di bruxelles, le mandorle, anacardi, i prodotti a base di fagioli di soia interi (bevanda, hamburger), semi di girasole, caffè.

FRUTTANI: Sono presenti in grano, orzo, farro, segale, aglio, cipolla, sedano, carciofi, cavolo cappuccio, barbabietola, nocciole, pistacchi.

DISACCARIDI:  il lattosio presente in molti alimenti pronti, nei latticini e derivati ma  anche in molti farmaci.

MONOSACCARIDI: Il fruttosio contenuto in: sciroppo d’agave, marmellate, miele, mele, aceto di mele, pere, anguria, fichi, albicocche, more, ciliegie, cachi, mango, pesche, prugne e banane acerbe (per l’amido resistente), sciroppo di fruttosio, sciroppo di mais.

POLIOLI: sorbitolo e mannitolo contenuti nelle prugne succo e frutto, nei funghi, cavolfiore, mele, pere, fichi secchi e freschi, datteri, nettarine, ciliegie, avocado, mais fresco o in scatola, more. Sono inoltre contenuti in tutti i prodotti sugar-free (gomme, caramelle).

La dieta FODMAP, per quanto sia spesso risolutiva, non può essere protratta a vita. La sua pecca è quella di impoverire il microbiota intestinale a causa della ridotta presenza di fibra e la scarsa varietà alimentare. Sulla base dei miglioramenti dei sintomi dopo 4-6 settimane sarà necessario reintrodurre secondo step e modalità ben precise, gli alimenti esclusi ed osservare come reagisce il corpo, se li tollera e in che quantità li tollera. Questa seconda fase ha una ulteriore durata di 6-8 settimane. Al termine della fase 1 e 2 ti ritroverai con un piano alimentare strettamente personalizzato che ti permetterà di autogestire anche in futuro, i trigger alimentari e non.

ATTENZIONE: Non è un percorso che puoi testare da sola, è fondamentale essere sempre seguiti da una professionista che conosca bene questa metodologia.

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